31/01/09

a) L'Induismo.

a) L'Induismo.

Già parecchi secoli prima dell'era cristiana, l'India era un meraviglioso paese in cui vi fioriva un'elevata civiltà. Gli antichissimi inni dei "Veda", i testi dei "Brahmana" e delle "Upanishad", erano il frutto delle meditazioni di generazioni e generazioni di saggi. Era infatti un costume assai diffuso, in quel paese, che gli uomini dedicassero la propria esistenza a cercare di risolvere i problemi più importanti della vita umana: per quale fine siamo stati creati? Che cosa ci attende dopo la morte? Forse nuove incarnazioni? E quale importanza hanno per l'uomo i dolori e le gioie della sua vita?

Per trovare una risposta a queste domande, moltissimi uomini trascorrevano gran parte delle loro giornate raccolti in profonda meditazione. Osservando le vicende della vita umana, erano giunti alla convinzione che l'unica parte dell'uomo degna di considerazione fosse lo spirito, mentre il corpo un fastidioso fardello.

Quelli più convinti di queste verità si proposero di soffocare tutti i propri sentimenti e tutte le esigenze del proprio corpo. Pensavano che allora lo spirito, non più distratto da preoccupazioni terrene, potesse trovare le grandi risposte. E di risposte ne trovarono molte...

LA RELIGIOSITA' INDIANA non costituisce una dottrina uniforme, bensì un complesso di idee religiose che vanno dalla superstizione alla mistica più elevata. L'assenza di fonti storiche, tipica in India, ne rende difficile definire la storia; tuttavia, gli studiosi sono concordi nell'affermare che essa si suddivida in tre fasi: Vedismo, Brahmanesimo e Induismo vero e proprio. Ognuna di esse, però, non costituisce una distinzione netta, piuttosto uno sviluppo della precedente.

Nella prima fase, che si colloca approssimativamente dal 1500 al 900 a.C. (più o meno in concomitanza con le invasioni ariane) l'interesse dominante è per i testi sacri dei Veda, cui si tributava una venerazione assoluta (non a caso molti storici affermano siano stati composti proprio in questo periodo). Nella seconda, invece, (900-500 a.C.circa) questo si spostò alla classe dei Brahmani, i quali si imposero come casta dominante per la loro funzione di custodi della parola sacra trasmessa dai Veda. La terza, infine, (che va dal 500 a.C., circa, fino ad oggi) è caratterizzata dall'insorgere di movimenti rinnovatori, come il Buddhismo e il Giainismo, che si rivoltarono contro l'esteriorità religiosa della casta sacerdotale, la cui supremazia cominciò a incrinarsi.

Nonostante queste differenze, comunque, i principi fondamentali, della religiosità indiana, sono sempre stati e sono tuttora questi:

1) la credenza nel samsara (sanscrito: "scorrimento circolare"), cioè nella trasmigrazione delle anime soggette alla legge del Karma (legge di casualità), che, a seconda degli atti compiuti in vita, impone di rinascere ancora, nella forma che più ci si è meritati.
2) la credenza nella Maya (l'illusione), che tiene nascosta, come un velo, la Realtà suprema agli uomini.
3) la credenza nella Liberazione (da maya), cioè nell'unione dell'anima individuale (atman o jiva) con l'anima del mondo (Brahman). Secondo i Veda, infatti, l'essenza della realtà è Brahman, un principio impersonale, al di là del tempo e dello spazio, da cui tutto deriva e a cui tutto tende.

Ciò che tiene separato l'atman da quest'ultimo è Maya, da cui è possibile liberarsi raggiungendo lo stato di Moksa (liberazione dal vincolo terreno), con cui si sfugge anche alla ruota delle rinascite. Colui che intraprende questo cammino, isolandosi dal mondo, viene chiamato samana e l'illuminazione che raggiunge è anche detta Sat-Cit-Ananda, cioè essere-coscienza-beatitudine, le tre qualità del divino.

LE STRADE PER ARRIVARE ALLA LIBERAZIONE che si sono sviluppate in India attraverso i secoli, sono molte; l'Induismo, come si è detto, non è un fenomeno uniforme, ma piuttosto un pullulare di sette, tutte, comunque, legate ai principi di cui sopra.

Alla fine del periodo vedico, i brahmani si dettero molto da fare per commentare e rielaborare la dottrina insegnata dai Veda. Nacquero così molte scuole, di pensiero filosofico, con l'intento di dare una giusta interpretazione delle sacre scritture, che, col tempo, si organizzarono in sei grandi correnti, definite ortodosse nella misura in cui ammettevano l'autorità dei Veda.

Nel complesso questi metodi, o cammini, non si escludono a vicenda: si potrebbero paragonare ai vari tipi di cartine geografiche che è possibile tracciare per uno stesso territorio, le quali, pur essendo differenti, presentano lo stesso paese visto da angolature diverse.

I sei Darshana (così sono chiamati dagli indù) sono: Samkhya; Yoga; Vedanta; Mimamsa; Vaisesika; Nyaya. I primi tre sono i piu importanti, costituiscono le colonne portanti del pensiero indiano; per cui li esamineremo più da vicino.

Samkhya, il più antico (6° sec. a.C.), risulta essere strettamente connesso allo Yoga (infatti le due scuole sono legate fra loro) e ha una visione dualistica della realtà, che considera costituita da purusha (principio cosciente, ma passivo) e prakriti (principio incosciente, ma attivo) dalla quale poi, derivano le tre guna: tamas, rajas e sattva, costituenti il mondo manifesto (riprenderemo questo discorso più avanti).

Diversa è, invece, la prospettiva del Vedanta, che ha una visione monistica della Realtà. Fu Shankara (8°sec. d.C.) la figura più illustrte, considerato il capostipite della scuola, secondo cui la dualità e la molteplicità sono solo apparenze illusorie (maya) dietro cui si cela la Verità (il principio supremo del mondo, il Brahman). Il "Sè", l'atman, non risulta, quindi, essere staccato da quest'ultimo; questa divisione sarebbe frutto di ignoranza, di una conoscenza inferiore, primo gradino verso la conoscenza suprema, in cui, appunto, atman e Brahman non appaiono disgiunti, ma in pura unità.

Per quanto riguarda lo Yoga, invece, c'è da dire che la pratica di questa disciplina, almeno a giudicare dai ritrovamenti degli scavi archeologici effettuati nella valle dell'Indo, è molto antica e, anche se è andata trasformandosi a seconda delle diverse influenze di pensiero, caratterizzanti le diverse epoche storiche, nel suo nucleo è rimasta inalterata. Fu Patanjali, nel 5°sec. d.C., a sistematizzarne la dottrina negli Yoga sutra, operando una felice sintesi di tutte le teorizzazioni precedenti. Egli fu in grado di proporre un sistema che, nello stesso tempo, riprendesse e superasse la filosofia Samkhya.

Letteralmente la parola significa "unione"
, "legame", e sta a indicare sia il concetto di liberazione dai legami del mondo, sia il conseguimento dell'unione di tutte le forze e sfere spirituali appartenenti all'uomo. Yoga, infatti, è il metodo attraverso cui si arriva a ottenere il dominio di se stessi, di tutte le proprie energie, che possono essere così guidate nella direzione desiderata, cioè verso la Liberazione. Vi sono otto livelli per arrivare a conseguire ciò, suddivisi in due fasi: la prima, quella dello Hata-yoga, comprende i primi cinque, la seconda, invece, del Raja-yoga, comprende gli ultimi tre. Ognuno di questi otto gradini porta a una presa di coscienza sempre maggiore, con relativo controllo, di una parte del proprio essere. Si va dall'involucro corporeo, per arrivare a quello mentale e, infine, spirituale.

Il primo livello, tra l'altro, comprende l'osservanza di 5 precetti etici, molto simili a quelli giainisti e buddisti, mentre gli ultimi tre riguardano la meditazione e sono: dharana, contemplazione; dhyana, meditazione vera e propria; infine samadhi, illuminazione.

Oltre a queste scuole filosofiche, fiorirono in India altre scuole, di tipo teistico, che si raccolsero in tre grandi correnti: Visnuismo, Shivaismo e Sakhtismo.

Queste si svilupparono grazie all'apporto di nuove opere filosofiche, redatte e composte dal 4°sec.a.C.in poi, che andarono incontro all'esigenza della popolazione di sentirsi più vicina ai testi sacri, fino ad allora rimasti prerogativa assoluta della casta dei Brahmani.

Queste opere sono i Tantra e i poemi epici. In particolare il Mahabarata risulta essere molto importante, poichè, grazie al sesto canto di quest'opera (Bhagavad Gita), si andò avviando, in India, una riforma spirituale, che portò al formarsi dei nuovi yoga:

- Karma-yoga,
- Jana-yoga e
- Bhakti-yoga,

i quali ebbero una maggior diffusione su tutti gli strati della popolazione, rispetto allo yoga classico, poichè non erano esclusivi di una sola classe di persone o casta, ma si trattava di insegnamenti rivolti a tutti, indistintamente.


Dal Bhakti-yoga fiorì il Visnuismo
, mentre

dal Tantrismo derivarono lo Shivaismo e il Sakhtismo.



A loro volta, poi, queste correnti si suddivisero in numerose sottoscuole e sette.


Il Bhakti-yoga è la via della devozione,

lo Jana-yoga quella della conoscenza,

il Karma-yoga quella dell'azione.


Essi sono fra loro strettamente connessi, le differenze consistono solo sull'attenzione posta allo strumento di salvezza. Uno jana considererà più importante la ragione, piuttosto che il cuore, il quale, invece, sarà ritenuto più importante da un bhakta; così, un seguace del karma-yoga considererà più importante concentrarsi sulla correttezza delle proprie azioni, sulla loro fedeltà al Dharma (legge), ma non rinnegherà per questo il valore e l'importanza della devozione, della preghiera, ecc.

Così, la spiritualità, che si era racchiusa nelle mani dei brahmani, tornò di nuovo alla portata di tutto il popolo: un ksatrias che sceglieva il karma-yoga poteva, senza timore, uccidere combattendo, poichè veniva giustificato dalla sua fedeltà al dharma (legge) della sua casta; mentre un paria, tagliato fuori dal mondo dai brahmani, poteva divenire un illuminato grazie al bakhti-yoga, ecc.

I TESTI SACRI: I libri sacri degli indiani sono scritti in sanscrito, la lingua dotta dell'India antica. L'insieme delle scritture sacre dette Veda (cioè "sapere religioso", "scienza sacra") è stato composto lungo un periodo che va dal 1800 all'800 a.C.. Sono, tuttavia, date molto controverse e c'è chi vuole siano state, invece, redatte in epoca molto più remota, ancor prima del terzo millennio a.C.. Dei tanti Veda, che un tempo esistettero, solo quattro libri sono giunti fino a noi.

Essi sono:
- Rig-veda, il sapere in versi;
- Yajur-veda, il sapere in formule liturgiche;
- Sama-veda, il sapere in melodie liturgiche;
- Athar-veda, il sapere in Atharvan, una particolare casta di sacerdoti.

Le prime tre sezioni costituiscono un insieme abbastanza unitario, tanto che venivano designate col nome di "triplice scienza": la casta sacerdotale doveva conoscerle e praticarle con scrupolo. Nella tradizione scolastica indiana, però, ha avuto valore un'altra distinzione, basata sui generi letterari. Ad esempio tutto ciò che nei Veda è composto in versi poetici è stato raccolto nella Samhita (collezioni poetiche), mentre tutto ciò che è stato composto in prosa nelle Upanishad.

Il termine Upanishad significa seduta segreta, confidenziale; si tratta, infatti, di 108 resoconti di colloqui tra maestro e discepolo. Il tema che vi domina è quello della conoscenza in quanto via di liberazione.

Oltre a quelle che fanno parte dei Veda, però, abbiamo Upanishad lungo tutto il corso della storia spirituale indiana. Nel loro insieme costituiscono il Vedanta, cioè la "fine dei Veda"
, sia nel senso ovvio di ultima parte, che di quello di "momento culmine".

Nei tre o quattro secoli prima dell'era cristiana, inoltre, e in altrettanti successivi, fiorì in India una straordinaria tradizione epica, la quale prese forma letteraria in due opere, il Mahabarata (che, fra l'altro, è il più vasto poema della letteratura mondiale) e il Ramayana, attribuite rispettivamente a Viasa e a Valmiki, che sono però da ritenersi autori leggendari, un po' come l'Omero greco.

Secondo una tradizionale distinzione indiana, sono due le grandi stirpi mitiche: quella lunare, illustrata dal Mahabarata, e quella solare, illustrata dal Ramayana. Dei due poemi, il primo è quello che suscita maggior interesse.


"Come in un fiume, dai molti affluenti, nel Mahabarata si ritrova, allo stato di mescolanza, tutto quello che l'India ha immaginato e pensato nei primordi della sua formazione".

Il libro 4° del Mahabarata è una disgressione speculativa di ben 700 strofe. La tradizione indiana ne ha fatto un libro a sé, dal titolo Bhagavad Gita (Canto del beato Signore) o, semplicemente, Gita.

Dai Veda derivano oltre alle Upanishad, le Brahmana che ne costituiscono un commentario e, come suggerisce la parola stessa, furono elaborate dalla casta sacerdotale.

Abbiamo poi i Purana, racconti mitologici e leggende non inserite nei due poemi prima citati; le Agama, i testi basilari delle tre grandi correnti religiose indiane (Visnuismo, Sivaismo e Sakhtismo); infine, vari codici, quali le leggi di Manu, che specificano il comportamento, i rituali, la disciplina degli atti, insomma, propria di ciascuna casta (per cui vi si atterranno scrupolosamente i seguaci del karma-yoga).

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